L’11 marzo 2017 oltre diecimila persone riempirono le strade di Napoli per protestare contro la venuta in città del leader leghista Matteo Salvini. Una giornata di lotta importante per la nostra città, una manifestazione decisa e partecipata in maniera trasversale dalle realtà sociali e da tantissimi napoletani, dai collettivi studenteschi alle variegate esperienze dell’associazionismo, politiche e sindacali di cui, per fortuna, Napoli era ed è piena. Un corteo che arrivò al culmine di settimane di mobilitazione così diffuse nella città da costringere il ministero degli Interni dell’epoca, Marco Minniti – fresco fresco di approvazione dei decreti sicurezza – a imporre la presenza del comizio elettorale di Salvini “requisendo” a soggetti effettivamente competenti lo spazio della Mostra d’Oltremare.
Perchè è importante ricordare questo? Perchè proprio ieri 5 persone, sotto processo da 7 anni per aver partecipato a quella manifestazione, sono state condannate a sei anni di carcere per devastazione e saccheggio. Una sesta persona è stata condannata per resistenza a due anni.
Sgomberiamo subito il campo dagli indugi: queste condanne sono inaccettabili e vergognose.
La piazza dell’11 marzo ha espresso un sentimento popolare diffuso, la voglia di reagire all’ennesima provocazione di un’intera città che per anni Salvini ha insultato, umiliato. Più che un corteo, l’11 marzo è stato un megafono attraverso cui migliaia di napoletani hanno mandato a Salvini e ai suoi accoliti un messaggio chiaro: qui non c’è spazio per la propaganda antimeridionale, razzista, xenofoba, reazionaria. Non siete e non sarete mai i benvenuti.
A distanza di sette anni, le forze repressive colpiscono sei compagni utilizzando, tra l’altro, un dispositivo allucinante del codice penale, di matrice mussoliniana.
Introdotto dal codice penale fascista, il codice Rocco, e ancora in vigore tutt’oggi, il reato di “devastazione e saccheggio” è puro arbitrio nelle mani del legislatore. Si tratta di una norma che, per la sua genericità e la mancanza di criteri specifici che lo definiscono, si apre a infinite interpretazioni e nei fatti è utilizzato – in maniera sempre più frequente, dopo i fatti di Genova del 2001 – per reprimere il dissenso di piazza, sedare il conflitto sociale e perseguitare decine di compagni attivi nelle lotte sociali in tutto il paese.
Le sei condanne per la contestazione a Salvini arrivano d’altronde in un momento in cui soffia forte in Italia il vento di politiche securitarie, repressive e gravemente lesive della libertà di dissenso e del diritto di manifestare.
Il disegno di legge 1660 è solo la punta dell’iceberg, la fotografia che mostra plasticamente quale impostazione ideologica sia dietro all’azione concreta delle forze di estrema destra attualmente al governo che non incontra pressocchè ostacoli dentro le istituzioni, vista la complicità o il silenzio assenso di tutte le forze di centrodestra e centrosinistra. Attacco alle condizioni di vita dei lavoratori, dei più poveri, dei giovani, delle donne e dei migranti, e sostegno agli interessi guerrafondai della Nato e delle multinazionali dell’industria bellica camminano di pari passo con denunce, fogli di via, repressione degli scioperi e manganelli che abbiamo visto piovere in questi mesi.
Ai compagni colpiti dalle condanne va tutta la nostra solidarietà e il nostro abbraccio. C’eravamo in quella piazza, ci saremo in quelle che verranno, per la libertà di opporsi alle disuguaglianze e alle discriminazioni, alle guerre dei padroni, al genocidio di cui il Governo italiano è complice, per costruire, ovunque e sempre con maggiore convinzione, una società radicalmente differente.
Oggi come l’11 marzo: ribellarsi è giusto!