Sabato 31 agosto, Grumo Nevano, comune della periferia nord della città metropolitana di Napoli. Un lavoratore pakistano viene brutalmente aggredito da alcuni giovani. Una videocamera di sorveglianza riprende la scena: rincorso a bordo di alcuni scooter, l’uomo pakistano subisce un pestaggio di gruppo, riportando serie ferite alla testa e in tutto il corpo.
Non è la prima e – purtroppo – non sarà l’ultima aggressione di matrice razzista e suprematista ai danni delle comunità immigrate, soprattutto asiatiche, che vivono e lavorano in quella zona. Le telecamere che hanno ripreso il pestaggio diffondono solo la punta dell’iceberg. Le aggressioni sono ripetute. Da mesi, di prima mattina o in tarda serata, gruppi di italiani si accaniscono sui lavoratori immigrati che tornano o si recano sul posto di lavoro. Una situazione invivibile e pericolosa che viene raccontata chiaramente il giorno successivo con una manifestazione delle comunità asiatiche, e che, il lunedì successivo, ci porta a scendere nuovamente in piazza a Grumo Nevano con la partecipazione trasversale alle diverse comunità del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli. Contrariamente a quanto avviene in questi casi, i riflettori accesi sulla vita del comune napoletano non fermano le violenze, e martedì mattina – quasi a voler “rispondere” alle due manifestazioni di piazza – si verifica una nuova aggressione razzista.
Sabato 31 agosto, Forcella, nel cuore del centro storico di Napoli. Una fuga di gas provoca un’esplosione in un seminterrato a vico Pace. Il palazzo intero viene evacuato. Bapari Babul di 48 anni, Kazi Altaf di 43 anni e Afsar Afsar di 60 anni, tre lavoratori bangladesi abitanti del basso, sono morti dopo giorni in ospedale, a causa delle gravi ferite riportate.
Grumo Nevano e Forcella solo apparentemente sono episodi slegati e lontani tra loro. In realtà poggiano sullo stesso sostrato sociale, politico ed economico. Raccontarli come gli ennesimi casi eccezionali, o tragedie fortuite, non rende giustizia ai fratelli che hanno perso la vita, e soprattutto non ci consente di avanzare di un passo nella ricerca di soluzioni che siano adeguate.
Alcuni elementi che riteniamo fondamentale sottolineare per comprendere quanto sta accadendo e agire di conseguenza:
Le aggressioni alle comunità migranti che si verificano sempre più insistentemente nella periferia nord di Napoli non sono frutto di “bravate”, di giovani fascistelli, di esaltati annoiati. Grumo Nevano e i comuni limitrofi sono sede di un distretto produttivo (aziende del tessile e calzaturifici) dove sono impiegati migliaia di operai, in gran parte immigrati di origine asiatica, in condizioni lavorative tremende (12, 13 ore al giorno, per 2,50 o 3 euro orari). Quasi sempre sono questi ultimi i destinatari delle aggressioni: la violenza di strada che si esercita sui lavoratori più esposti al ricatto sociale è uno strumento di disciplinamento e di controllo di quel territorio e della sua intera forza lavoro (tanto è vero che l’esistenza di queste bande e gruppi è vissuta con malessere anche dai lavoratori italiani, che ne subiscono i soprusi, seppur in misura assai diversa). Un dispositivo che torna utile ai “potentati” locali – talvolta affiliati direttamente a dimensioni della criminalità organizzata – e che fa della componente immigrata un “target esemplare”, che essa si trovi in una periferia o nei quartieri poveri del centro storico della città.
Non solo violenza di strada e sfruttamento sul lavoro: i lavoratori migranti vivono una condizione di segregazione abitativa vera e propria. Perché tre uomini sono morti nel crollo di un basso a Forcella? Perché – dobbiamo essere chiari e ribadirlo con forza – in questa città i padroni di casa non affittano ai migranti a meno che di riservargli locazioni inabitabili, sottoscala, seminterrati che ovviamente non potrebbero essere oggetto di alcun contratto di locazione. A Napoli è esplosa una crisi immobiliare senza precedenti. Le famiglie napoletane non riescono a pagare affitti sempre più alti, gli sfratti sono in aumento vertiginoso e già nel 2023 avevano raggiunto la cifra limite di 10mila nella sola città. In questo quadro generale, i lavoratori immigrati sono quelli che subiscono maggiormente la violenza del ricatto dei padroni di casa e l’emergenza abitativa. Gli vengono richieste garanzie reddituali altissime, e pure quando le possiedono, spesso gli si rifiuta l’affitto, o, appunto, li si relega esclusivamente a soluzioni invivibili, fatiscenti, pericolose. Questa condizione accomuna la quotidianità di moltissimi operai migranti, spesso proprio impiegati nel settore tessile del distretto dell’area nord di Napoli. Non è una fatalità tragica quella che è toccata ai 3 fratelli bangladesi a vico Pace, è una condizione strutturale che va contrastata senza mezzi termini.
Se è vero quello che abbiamo scritto nei due punti precedenti bisogna inquadrare questi fenomeni, ripetuti e pericolosi, come funzionali a una società italiana che complessivamente – nel senso comune, nella rappresentanza politica, nell’egemonia diffusa e nelle dimensioni economiche e sociali – vira sempre più a destra.
E’ una manovra a tenaglia: dall’ “alto”, dall’operato del Governo, arrivano provvedimenti criminali come il decreto Cutro, o si prevede la riapertura dei CPR, si perseguitano milioni di persone che tentano di arrivare, transitare o stabilirsi nel nostro paese, mentre si costruiscono le condizioni per cui, quotidianamente, la violenza possa esercitarsi, nella forma dei raid delle bande di strada, in quella degli imprenditori schiavisti o dei palazzinari. E’ per il silenzio assenso delle istituzioni, per il loro “lasciar correre” di fronte ai soprusi dei più forti, per il brodo culturale e il razzismo che da esse si propaga che assistiamo a tutto questo.
Se questa è la situazione in cui ci muoviamo, in un coacervo di istanze materiali e simboliche strutturali e tutt’altro che episodiche o eccezionali, come possiamo agire?
Da anni raccontiamo pubblicamente in che condizioni vivono e lavorano le sorelle e i fratelli immigrati grazie alla testimonianza e all’azione diretta dello stesso soggetto migrante che si coagula nell’azione del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli.
Il 22 giugno scorso siamo scesi in piazza in migliaia, africani, asiatici, europei. Più volte abbiamo portato nelle sedi istituzionali, all’attenzione di Comune, Questura, Prefettura, che si stavano intensificando le aggressioni a sfondo razziale, che l’emergenza abitativa rischiava di minacciare la vita stessa di molte persone. Quando rispondono, le Istituzioni si trincerano dietro l’avere le “mani legate” e riescono, con incredibili acrobazie logiche, addirittura a rovesciare le responsabilità fino ad “incolpare” i migranti di non denunciare abbastanza. Invece di far passare l’idea che per indole, per natura, per scarsa alfabetizzazione, i migranti siano in qualche modo tendenzialmente avversi alla legalità e alle sue norme, chiediamoci perché un migrante non denuncia un’aggressione. Perché in uno Stato che non tenta neppure di colmare la barriera linguistica al momento di sporgere una denuncia, sa bene di essere considerato un uomo di serie b, e di doversi ritrovare da solo, senza alcuna rete di protezione e solidarietà sociale, ad affrontare gli aggressori contro cui ha puntato, legittimamente, il dito.
Diversi amministratori locali e organi di stampa in questa lunga settimana hanno gridato alla “soluzione poliziesca” come unica via possibile. Incrementare il dispositivo repressivo è certamente efficace sul piano della propaganda mainstream, ma non risolverà il problema, che si ripresenterà ancora e ancora se non verrà affrontato sullo stesso terreno che lo genera, quello del tessuto sociale.
Dobbiamo ricomporre quello che altri lavorano sistematicamente a frammentare, e dobbiamo guardare alle radici dei fenomeni e lì agire per rovesciarle. Di fronte al razzismo e alla violenza non possiamo permetterci di arretrare, non “semplicemente” per una postura etica che rifiuta ingiustizie così palesi e atroci. Nello scontro di classe in atto, i lavoratori immigrati sono il bersaglio su cui si scarica, sul piano ideologico, la propaganda fascista e razzista più becera e, contemporaneamente, si sperimentano le peggiori condizioni materiali. Sostenerli, supportare la loro presa di parola e il loro protagonismo, è difendere tutti noi.
Per questo saremo in piazza domenica 8 settembre, alle 18, a Grumo Nevano (piazza pio XII) e invitiamo tutte e tutti a farlo con noi.