L’Italia vanta il primato mondiale per numero di siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Nonostante ciò, il Pease si colloca agli ultimi posti in Europa per la spesa pubblica destinata alla cultura.
Nel 2021 la spesa pubblica culturale era già inferiore dello 0,4% alla media Europea ma con l’ultima legge di bilancio, l’Italia risulta essere in ultima posizione (avanti solo a Irlanda, Grecia e Cipro) con un investimento totale pari allo 0,3% del PIL. Il mancato investimento nella cultura genera conseguenze drammatiche per i lavoratori e le lavoratrici del settore, che si trovano a fronteggiare un elevato tasso di disoccupazione e condizioni di estrema precarietà lavorativa.
La categoria è caratterizzata da una forte instabilità, con tipologie contrattuali prevalentemente flessibili o atipiche che limitano la sicurezza economica e professionale. Tra queste, i contratti a tempo determinato rappresentano una quota rilevante, ma sono altrettanto diffuse forme come tirocini, stage, contratti a chiamata, lavoro somministrato e collaborazioni parasubordinate. Nel settore dello spettacolo, in particolare, si registra un aumento dell’uso del lavoro intermittente, noto come “scrittura artistica”, che alterna periodi di attività a fasi di inattività, accentuando l’incertezza occupazionale.
A questo quadro si aggiungono, nel settore cinematografico, le recenti riforme del finanziamento pubblico alla cultura. Un esempio significativo è la riforma del finanziamento del cinema, che ha introdotto un sistema di tax credit destinato a incentivare le produzioni cinematografiche focalizzate su temi legati all’identità nazionale italiana. Sebbene tali misure possano favorire alcune produzioni, non affrontano in modo strutturale i problemi di precarietà e instabilità del settore, contribuendo invece a una gestione frammentata delle risorse. Le scelte politiche che sottendono a queste dinamiche non penalizzano solo i lavoratori, ma hanno un impatto significativo anche sulla qualità e sull’accessibilità della cultura.
Musei, cinema, teatri ed esposizioni, soggetti a continue chiusure e a una crescente influenza del potere economico privato, diventano sempre più costosi ed elitari. Questo processo di privatizzazione e aumento dei costi ha portato a una progressiva riduzione del pubblico, che appare sempre più disinteressato e distante da un’offerta culturale percepita come inaccessibile. Di conseguenza, l’egemonia degli interessi economici privati rischia di compromettere non solo la democratizzazione della cultura, ma anche la sua capacità di coinvolgere e rappresentare la società in modo inclusivo.
La cultura, diritto universale non mercificabile, è minacciata dalla privatizzazione, che danneggia lavoratori e collettività, limitando l’offerta culturale a un intrattenimento superficiale, costoso e privo di valore sociale, politico ed educativo.
In una società che continua a marginalizzare i più deboli, il nostro ruolo, attraverso l’educazione ed il confronto con la realtà sociale, è quello di creare una coscienza politica ed una capacità di comprendere i propri diritti ed i processi decisionali che portino alla fine ad un impegno attivo e trasformativo!