Sono passate ormai svariate settimane dal decreto che ha reso l'intera Italia zona rossa e ha stravolto sensibilmente la nostra quotidianità e la nostra socialità.
In questi quaranta giorni di incertezza, bollettini e proiezioni, la società del dinamismo, della velocità e della competizione ha subito un brusco arresto (certo non per tutto, non per tutti), permettendoci paradossalmente di fermarci, obbligandoci in un modo o nell'altro a riflettere intorno all'esistenza nostra ma anche, più in generale, intorno all'esistente.
Lo stato iniziava a concederci la libertà, come se non ci fosse mai appartenuta prima; la stava confezionando proprio per noi, la distribuiva a piccole pillole, così come si somministra una cura.
Il cinguettio di quegli uccelli non l'ho mai sentito a via Foria: si disperdeva tra clacson e gente che imprecava.
La mia ultima quarantena risale al 2010. Anche allora ero bloccata tra quattro mura. Il rischio che correvo però non era quello di contagiare o essere contagiata, ma di non arrivare a Natale.
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